Scritto da Elara Rossi | 03/12/2025 | Racconti
L'Ombra della Cattedrale
Era l'anno del Signore 1285. Il sole di Puglia, anche in un tardo pomeriggio d'autunno, dipingeva d'oro e ocra le pietre millenarie di Trani. Le vie acciottolate risuonavano del fruscio dei mantelli, del richiamo dei pescatori che rammendavano le reti al porto e del brusio sommesso dei mercanti che contrattavano spezie e sete nella Giudecca, il quartiere ebraico vivace e operoso. Ma più di ogni suono, più di ogni colore, a dominare la città era l'imponente sagoma della Cattedrale di San Nicola Pellegrino, un faro di pietra levigata che s'innalzava verso il cielo, quasi a voler toccare le nuvole che spesso si radunavano sul mare Adriatico. Ed è proprio tra quelle pietre che la nostra storia prende vita, tra le mani sporche di calce e la mente curiosa di un giovane apprendista, Matteo.
Matteo era poco più di un ragazzo, con la pelle scurita dal sole e gli occhi acuti, capaci di scorgere le sfumature più sottili nella roccia che il suo mestiere gli imponeva di conoscere. Era apprendista di mastro Giovanni, un vecchio scultore la cui fama si estendeva ben oltre i confini del Regno di Napoli. Da anni, Matteo dedicava le sue giornate a plasmare, levigare e posare pietre, contribuendo all'incessante opera di abbellimento e restauro della Cattedrale, un organismo vivo e pulsante che mutava con le epoche. Il suo cuore batteva all'unisono con le martellate e il fruscio della sabbia, e ogni crepa, ogni incavo, ogni figura scolpita gli raccontava una storia, se solo si fosse stati in grado di ascoltare.
Un Simbolo Sconosciuto
Un pomeriggio ventoso, il compito di Matteo era quello di sostituire un antico gargoyle sul fianco della torre campanaria, eroso da secoli di salsedine e venti. Si trovava a una vertiginosa altezza, con la città ai suoi piedi che pareva un plastico animato. Mentre con perizia staccava il vecchio mostro di pietra, notò qualcosa. Non si trattava di una comune imperfezione o di un segno del tempo, ma di un intaglio quasi completamente nascosto, proprio sotto la base del gargoyle, al riparo dagli sguardi e dalle intemperie. Era un simbolo enigmatico: un serpente che si mordeva la coda – l'Ouroboros, come avrebbe imparato poi – che racchiudeva al suo interno un tridente stilizzato. L'esecuzione era grezza, antica, diversa dalle delicate volute romaniche che ornavano il resto della Cattedrale.
Matteo passò le dita sulla pietra, sentendo la scabrosità dell'intaglio. Ne parlò a mastro Giovanni, che, con un'alzata di spalle, liquidò la faccenda come la stravaganza di un vecchio muratore o un segno pagano pre-cristiano, privo di significato. "Lascia stare, figliolo," borbottò il maestro, "le pietre raccontano storie solo a chi le sa ignorare per concentrarsi sul lavoro." Ma la mente di Matteo, una volta colpita da un enigma, non sapeva ignorare. Quell'immagine lo tormentava, lo chiamava, e da quel giorno iniziò a guardare le pietre della sua città con occhi diversi, cercando altri indizi.
I Racconti di Nonno Peppe
La curiosità portò Matteo al porto, dove l'odore di sale, pesce e pece si mescolava in un profumo inconfondibile. Lì, seduto su una barca rovesciata, con le dita nodose che rammendavano una rete, c'era nonno Peppe, un vecchio lupo di mare con la pelle increspata come le onde e gli occhi azzurri che avevano visto tempeste e bonacce. Nonno Peppe era il custode di mille leggende, un po' per gioco, un po' per vera credenza popolare.
Matteo si sedette accanto a lui, disegnando con un dito sulla sabbia il simbolo che aveva trovato. Nonno Peppe socchiuse gli occhi, poi annuì lentamente. "Ah, il segno antico," mormorò con voce roca. "Questo è il sigillo dei Guardiani del Mare, così si narrava. Gente di un tempo lontanissimo, forse quando ancora i Romani non erano giunti qui. Si dice che proteggessero Trani con una Sacra Pietra, capace di placare le tempeste e di allontanare ogni male venuto dalle acque. I 'Guardiani' erano una stirpe, e questo era il loro segno, inciso in luoghi segreti, dove solo chi sapeva vedere avrebbe trovato." Il vecchio scosse la testa. "Pure sciocchezze, Matteo. Ma belle da sentire, non è vero?"
Le parole di nonno Peppe, pur tra il tintinnio della rete e lo stridio dei gabbiani, accesero una scintilla nell'animo del giovane. Non erano sciocchezze per lui. Era una traccia, una tessera di un mosaico molto più grande di quanto mastro Giovanni avesse mai immaginato. La Sacra Pietra, i Guardiani, il simbolo... tutto iniziava a connettersi in un filo sottile e affascinante.
La Sapeinza del Rabbi Abraham
Per approfondire la sua ricerca, Matteo si avventurò nella Giudecca, un labirinto di vicoli stretti e case alte, dove l'aria era intrisa di profumi di spezie esotiche e l'eco di lingue diverse si mescolava con i canti sacri. Cercò il Rabbi Abraham, un anziano studioso ebreo la cui vasta biblioteca era leggendaria. Il Rabbi, un uomo di rara pazienza e saggezza, accolse Matteo nel suo studio, un ambiente denso di pergamene e tomi antichi.
Matteo mostrò il disegno del simbolo. Il Rabbi inforcò gli occhiali, esaminandolo con attenzione. "Interessante, molto interessante, mio giovane amico. Questo simbolo, il serpente che si morde la coda, è un antico emblema dell'eterno ritorno, della ciclicità della vita e della morte. Ma con il tridente all'interno... Ah! Questa è una variazione di un culto pre-cristiano di Trani, probabilmente legato a divinità marine o a spiriti protettori delle acque. Molti secoli fa, prima che la parola del Cristo o del nostro Adonai prevalesse, c'erano genti che veneravano il mare come un dio, e credevano che la città fosse protetta da un potente manufatto o da un sapere nascosto, un segreto affidato a pochi eletti, i Guardiani del Mare di cui il tuo vecchio pescatore parlava. Alcuni testi antichi, non più esistenti, narravano di 'segni incisi nelle pietre del confine, ove il mare incontra la terra e il sacro si fonde al profano'. Potrebbe essere che tu abbia trovato una di queste incisioni di confine."
Le parole del Rabbi diedero a Matteo una nuova prospettiva. Non si trattava di semplici leggende, ma di un sapere dimenticato, custodito tra le pieghe della storia della sua stessa città. Armato di queste nuove informazioni, Matteo iniziò a percorrere Trani con un occhio ancora più attento, cercando le "pietre del confine".
Sulle Tracce del Passato
Nelle settimane successive, ogni momento libero di Matteo fu dedicato alla ricerca. Esplorò gli angoli più remoti della città: le mura del castello svevo, le rovine di antiche torri costiere, i vicoli tortuosi del vecchio borgo marinaro. E, sorprendentemente, iniziò a trovare altri segni. Non sempre erano chiari come quello sulla Cattedrale; a volte erano solo sfumature appena percettibili, erose dal tempo, quasi il segreto volesse rimanere celato. Ma c'erano: un graffito quasi invisibile su un blocco di pietra vicino alla porta del porto, un'incisione consunta nel pozzo di un cortile abbandonato, persino un simbolo appena accennato nella cripta più antica della Cattedrale, dove l'aria era fredda e pregna di storia. Era una mappa silenziosa, un sentiero di indizi che lo stava conducendo verso qualcosa di grande e antico.
I simboli lo portarono infine verso una parte delle mura della città che si affacciava sul mare, non lontano dal castello, ma in un punto poco frequentato, dove le onde si infrangevano con maggiore veemenza. Lì, tra la roccia viva e i blocchi di pietra che formavano la base del bastione, Matteo trovò un'apertura quasi invisibile, celata da un masso ricoperto di vegetazione marina. Era stretta, buia, quasi un respiro nella pietra. Con il cuore in gola e la fiamma di una piccola lanterna a tremolargli in mano, si calò nell'oscurità, l'odore salmastro e umido che lo avvolgeva.
La Camera Nascosta e la Pergamena
L'angusto passaggio si aprì in una piccola camera sotterranea, scavata nella roccia, illuminata solo dalla debole luce della sua lanterna. Le pareti erano lisce, prive di ornamenti, ma al centro vi era una sorta di altare rudimentale e, su di esso, una custodia di pietra consumata. Matteo si avvicinò con timore reverenziale. Aprì la custodia e trovò, con immensa emozione, una pergamena antica, ingiallita dal tempo ma sorprendentemente intatta. Non c'era oro, né gemme, né alcun tesoro materiale.
Con mani tremanti, srotolò la pergamena. Il testo era scritto in un latino arcaico, intercalato da simboli che riconobbe come variazioni di quelli che aveva scoperto. Con la sua conoscenza basilare e l'aiuto delle parole di nonno Peppe e Rabbi Abraham, iniziò a decifrare il messaggio. Parlava non di una pietra magica, ma della 'vera Pietra di Trani': lo spirito di unità e resilienza del suo popolo, il rispetto per il mare che dava e toglieva, la capacità di adattarsi e di resistere. Spiegava che i Guardiani non erano una stirpe di maghi, ma di saggi che tramandavano la conoscenza che la vera protezione della città risiedeva nella sua gente, nella sua capacità di ascoltare i venti, di comprendere le maree, di vivere in armonia con la natura e con i propri simili. C'era anche un'ammonizione, un monito su un futuro in cui l'avidità avrebbe potuto offuscare la saggezza, portando calamità. La pergamena descriveva anche un antico rito, dimenticato, per "risvegliare lo spirito della città" in tempi di grande pericolo, che richiedeva non sacrifici, ma gesti di solidarietà e memoria collettiva.
La Tempesta Imminente e la Vera Pietra
Non appena Matteo ebbe finito di leggere, un cupo rombo si levò dal mare. Una tempesta inaspettata e violenta stava montando all'orizzonte, le nuvole nere si addensavano con una rapidità spaventosa. Il vento ululava, sferzando la costa e facendo tremare le pietre della città. Panico serpeggiava per le strade; i marinai si affrettavano a mettere in sicurezza le barche, i mercanti chiudevano in fretta le botteghe. Una tempesta così forte non si vedeva da decenni. Matteo capì. Il monito della pergamena non era un'antica profezia, ma una verità ciclica, un richiamo all'azione nel momento del bisogno.
Il rito descritto sulla pergamena non parlava di incantesimi, ma di "riaccendere i fuochi della memoria, di far risuonare le campane con un'antica melodia dimenticata, e di riunire le mani per riparare ciò che il tempo e l'oblio avevano eroso". Matteo corse fuori dalla camera nascosta, il cuore che gli batteva all'impazzata. Si diresse alla Cattedrale, poi al porto, poi nella Giudecca, raccontando a chiunque incontrasse le parole della pergamena, non come una magia, ma come un richiamo alla forza interiore di Trani.
Incredibilmente, la sua passione, la sua convinzione, toccarono gli animi. Il campanaro, dopo esitazioni, suonò le campane con una cadenza insolita, una melodia antica che aveva udito dal padre. I pescatori, anziché solo preoccuparsi delle proprie barche, iniziarono ad aiutarsi a vicenda, mettendo in salvo quelle più piccole e fragili. I mercanti aprirono le porte per offrire rifugio e cibo. Un onda di solidarietà si propagò, piccola all'inizio, poi sempre più forte. Non fu la pergamena a placare la tempesta, ma lo fu l'anima di Trani che essa aveva risvegliato.
L'Eredità Silenziosa
La tempesta infuriò per una notte intera, ma al mattino, quando il sole fece capolino tra le nuvole diradate, i danni erano minori del previsto. Trani aveva resistito. Non per una pietra magica, ma per la vera Sacra Pietra: lo spirito del suo popolo, la sua unione, la sua capacità di affrontare le avversità. Matteo non rivelò mai il luogo esatto della pergamena, né il suo contenuto integrale. Diventò un maestro muratore, un artigiano rispettato, ma dentro di sé, era un guardiano silenzioso.
Di tanto in tanto, un apprendista curioso gli chiedeva del simbolo del serpente e del tridente. Matteo sorrideva, con la stessa saggezza che aveva udito da nonno Peppe e Rabbi Abraham. "Le pietre," rispondeva, "raccontano storie a chi le sa ascoltare non solo con le orecchie, ma con il cuore. La vera forza di Trani non è nascosta in un oggetto, ma è viva in ogni suo cittadino, in ogni onda che lambisce la costa, in ogni pietra della nostra Cattedrale che si innalza, testarda e maestosa, a sfidare i secoli." E così, il segreto della vera Pietra Sconosciuta continuò a vivere, non in un'antica reliquia, ma nell'anima immortale della città di Trani.
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