Il barbiere che ascoltava Bach di Renzo Samaritani Schneider




Il racconto del venerdì – Il barbiere che ascoltava Bach

di Renzo Samaritani Schneider

La settimana scorsa, in un mattino limpido, ho deciso di farmi tagliare i capelli.
Non era un capriccio né una necessità urgente: era quel tipo di decisione spontanea che nasce solo quando senti che il corpo ti chiede un gesto di ordine, una piccola pulizia simbolica.
Sono uscito di casa con passo tranquillo, lasciando alle spalle il profumo del caffè che Massimiliano stava preparando, e mi sono incamminato verso una traversa poco distante dal porto.

Là, nascosto tra una panetteria e un negozio di tende, c’è un barbiere che sembra uscito da un’altra epoca.
Il vetro della porta è leggermente ondulato — una di quelle imperfezioni che raccontano più della perfezione — e quando lo apri, vieni accolto da una musica che non ti aspetti: Bach.
Sempre Bach.
Non un brano a caso, non una playlist confusa: no, un concerto preciso, quasi liturgico, che si intreccia con il ritmo delle forbici come se fosse stato scritto apposta.

Il barbiere si chiama Gabriele.
Un uomo magro, elegante senza ostentarlo, con gli occhi chiari e un sorriso che non arriva subito — ci mette qualche secondo a comparire, come se avesse bisogno di valutare l’intenzione delle cose.
Indossa sempre un grembiule grigio e si muove con una lentezza misurata che non è lentezza, ma precisione.

Il negozio è un piccolo teatro della quotidianità:
specchi che moltiplicano volti e gesti,
asciugamani caldi impilati con cura,
bottiglie di lozione che profumano di agrumi e sandalo,
pennelli morbidi come piume,
una luce dorata che filtra da una finestra laterale e cade sul pavimento come un sipario.

«Buongiorno, Renzo,» mi ha detto quando sono entrato.
«Buongiorno, Gabriele.»
«Solo una spuntatina?»
«Sì. Una di quelle che rimettono a posto anche i pensieri.»
Ha sorriso. Uno di quei sorrisi che non fanno rumore.

Mi sono seduto sulla poltrona — una poltrona antica, imbottita come quelle che si trovano negli studi dei fotografi degli anni Settanta — e lui ha posato sulle mie spalle un telo che profumava di pulito, di tepore, di casa.
Bach riempiva la stanza con le sue architetture perfette: una musica che costruisce ponti, come se ogni nota fosse una pietra che si incastra nella successiva.

Le forbici hanno cominciato a muoversi.
Tac. Tac. Tac.
Un ritmo quasi cardiaco, scandito con una delicatezza che non avevo mai trovato in altri barbieri.
Ogni tanto Gabriele inclinava la testa per osservare la caduta di una ciocca, come uno scultore che valuta una forma nascente.

«Sa,» disse a un certo punto, «la gente pensa che si venga qui solo per tagliare i capelli. Ma io lo vedo subito quando qualcuno arriva per parlare… o per non parlare.»
«E oggi secondo lei io per cosa sono venuto?»
«Lei è venuto per respirare un po’. E Bach aiuta,» rispose, senza esitare.

Risi.
Non perché avesse torto, ma perché aveva centrato quello che sentivo senza che lo dicessi.
Un barbiere che ascolta Bach, pensai, è una forma di equilibrio ambulante.

Mentre mi accorciava i lati, entrò un uomo sulla settantina, col volto segnato dal sale del mare.
«Buongiorno, Gabriele,» disse.
«Buongiorno, maestro.»
Capire chi fosse quel “maestro” era superfluo: bastava guardargli le mani, grandi, forti, consumate dall’acqua.
«Mi faccia il solito, e oggi un po’ più corto. Mi aspetta una giornata impegnativa.»
«Il mare?»
«Sempre il mare.»

Ascoltai quello scambio con una calma nuova.
Era una conversazione semplice, eppure conteneva tutto: ritualità, fiducia, una forma di cura che passava attraverso le parole e anche attraverso il silenzio.

Gabriele tornò da me.
«A volte penso che questo mestiere sia una specie di confessionale laico,» disse, mentre pettinava i capelli per verificare la simmetria.
«E lei cosa confessa?», chiesi.
«Nulla. Io ascolto. La confessione la fa chi si guarda allo specchio.»

Quella frase mi rimase incastrata tra le costole.
La poltrona girò leggermente, e lo specchio davanti a me mostrava un volto più ordinato, sì, ma soprattutto più riposato.
È incredibile quanto possa cambiare un’espressione quando qualcuno ti tratta con un rispetto tranquillo.

Il concerto di Bach arrivò al suo punto più lirico proprio mentre Gabriele rifiniva il contorno del collo.
La vibrazione della musica si mescolava al tocco leggero delle sue mani, creando una sensazione quasi meditativa.
Un attimo sospeso, come se il mondo fuori fosse in pausa.

Quando finì, mi tolse il telo con un gesto fluido.
«Ecco fatto,» disse.
«Più che un taglio sembra una terapia,» risposi.
Lui sorrise appena.
«La gentilezza è un’arte che si impara stando attenti. Il resto lo fa la musica.»

Pagai, ci scambiammo un saluto dolce, e uscii nella strada che nel frattempo si era riempita della luce piena del mattino.
Il profumo della lozione mi seguiva, e Bach continuava a suonarmi dentro, nonostante la porta si fosse chiusa alle mie spalle.

E mentre camminavo verso casa, mi dissi che sì, ci sono mestieri che non sono affatto mestieri.
Sono forme quotidiane di eleganza, piccoli atti di cura verso il mondo.
E Gabriele, il barbiere che ascolta Bach, è uno di quei rari esseri umani che rendono più bella la vita senza farne un evento.
Solo facendo quello che fa.
Solo essendo quello che è.


Renzo Samaritani Schneider – Trani, novembre 2025



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